martedì 31 dicembre 2013
lunedì 30 dicembre 2013
martedì 24 dicembre 2013
La roba
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lunedì 9 dicembre 2013
Noi non ritorneremo
Viaggiavo. Viaggiavo
nervoso come le gomme della mia auto, sulla strada piena di buche e pozzanghere.
Era uno di
quei rarissimi casi nei quali lo stereo era spento.
In macchina
non succedeva mai.
Quel
silenzio trasportò la mia memoria e le mie sensazioni a quei momenti dopo i
litigi, con Lei, quando tornavamo a casa e non esisteva canzone da ascoltare.
L’incedere e
lo scalare delle marce, il cigolìo degli ammortizzatori, il tintinnare dei
vetri riempivano quella nostra guerra del silenzio.
La rabbia
trasudava dalle maniche e dal colletto e marcava, via via e sino a quella che
sarebbe stata poi la fine, il declino di un amore.
Scossi la
testa e spazzolai via, alla meno peggio, quei putridi ricordi.
Parcheggiai
davanti al market, che stava chiudendo, dove avrei trovato l’ennesima bottiglia
consolatrice e ispiratrice di un nuovo breve sorriso.
Non portai
dentro il portafoglio, gonfio e livido, che pareva vomitasse scontrini
ingialliti, ma presi giusto i dieci euro che si affacciavano tra le varie
cartacce.
Poi vidi la
penna e si accese il solito pensiero di demenza poetica.
Ci scrissi
sopra “Noi non ritorneremo”.
Sorrisi
soddisfatto tra me e me ed entrai.
Una volta
alla cassa Matteo non notò niente e fece scomparire la mia banconota speciale
nel registratore.
Tornai a
casa, mangiai una grossa fetta abbrustolita di pan con l’olio, strofinata con
un po’ d’aglio, e sorseggiai il rosso sino ad ucciderlo un’ora dopo.
Il sabato e
la domenica trascorsero tra grossi respiri, buona musica e qualche fotografia
ai rami degli alberi denudati dall’autunno.
Riecco il
lunedì, sempre puntuale, riecco le partenze all’alba verso il mio lavoro umile.
Così fu la
mia vita per 3 anni.
La mia vita
fatta di settimane messe in riga dalla routine, di pochi soldi incassati e di
molti sogni logori e stagnanti.
Il mio
appartamento aveva iniziato a farmi schifo.
Mi faceva
schifo quel divano, unico pezzo di arredamento, e quelle seggiole così
pacchiane.
Dopo 4 anni
di forzata stabilità ero vicino al grande crollo. Di nuovo.
Mi guardai
indietro, riaprii i miei diari, gli hard disk e tutti i canovacci delle mie
opere incompiute.
Niente.
Io, che
senza tanti sforzi e senza studio volevo fare l’Artista ed essere d’esempio ai
deboli ed ai sensibili, non avevo fatto un bel niente.
Ripensai
alle occasioni di carriera di quando avevo 20 anni sulle quali avevo sputato
sopra e, armandomi dei “se” e dei “ma”, cercavo di immaginare chi sarei
diventato se avessi detto di “si” all’ufficio, a Milano, alla Germania, alla
Spagna a Bologna o non so dove.
Mi vedevo
con una bella macchina nuova, bianca, in un appartamentino in centro, a
convivere, a bere cioccolato caldo o thè con una ragazza coi capelli sempre
puliti e lisci.
Mi arrabbiai
e mi facevo più schifo del mio divano e delle seggiole messi insieme.
Uscii.
Sentivo che
l’unico modo era caricarmi della delusione, del vino, del milionesimo litro
forse, e calmarmi. Dirmi che “andava bene così” che tutto era per Lei, per la
nostra storia andata a male.
Il market
non c’era più, adesso c’era un iper-store, ad un paio di chilometri, con il reparto “cantinetta”, che
ti pareva di essere un intenditore, col vino che arrivava da tutto il mondo.
Presi un
Barolo da 90 euro.
Volevo
capire una volta per tutte cosa significasse.
Andai alla
cassa 24, c’era una cassiera bellissima e piena di fascino. Mi ricordava Karen Dalton.
Con gran
classe estrassi dal portafoglio il pezzo verde, il pezzo da 100, e pagai.
Ed eccoci.
Ci siamo.
Eccoci nel
preciso momento in cui il destino ti picchietta alla spalla, vestito di grigio,
e ti dice tutto della vita con una breve frase sospirata alla mente e
all’anima.
La cassiera
mi allunga i 10 euro di resto.
Quei 10 euro
li.
Mi
immobilizzo.
Il mio
pollice destro, assieme all’indice sotto, stringe la banconota da un lato.
Davanti a me
fa lo stesso lei, la cassiera, che legge la frase.
Mi guarda,
sorride con gli occhi, e mi parla :
“Chissà dove
andremo a finire.. eh, Walter”.
Mi svegliai.
Che sbronza.
lunedì 2 dicembre 2013
Cotton Fields
Noi, quelli coi sentimenti, ci passiamo tutti dal super dottore. Che non è più stress, che è normale, che gli incubi è bene ci siano, spurgano la depressione.
Ho sognato, nel sonno malato di un pomeriggio, di raccogliere la tua automobile dai binari del treno, poi altre cose, poi noi sulla montagna sino, poi, alla neve, a tirarci la neve, ad assaggiarla. Buio, nel bosco buio, io avevo il terrore, tu sorridevi, non avevi paura.
Passano gli anni possibile? Anni, mesi, giorni come macigni.
Anni.
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